Come in un film in cui si fa un balzo indietro nel tempo, da qualche tempo in Italia si parla di riaprire le centrali a carbone.
Questo scenario sembra legato a doppio nodo con quanto sta accadendo in Europa perché la guerra tra Russia e Ucraina impatta fortemente sui costi dell’energia, tant’è che vi abbiamo dedicato un articolo di approfondimento chiamato proprio Guerra in Europa & Energia.
Le istituzioni europee, Italia compresa, hanno preso le distanze dalla Russia e questo comporta il dover pensare a piani alternativi per reperire energia. La Russia, infatti, copre il 40% del fabbisogno energetico del nostro Paese ed è arrivato il momento di guardare ad altri Paesi fornitori e di aumentare la produzione interna.
Se a prima vista il voler produrre più energia in casa e ridurre il ricorso alle importazioni possa sembrare cosa buona, il mezzo con cui il governo Draghi intende farlo è del tutto discutibile. Si parla infatti di riaprire le centrali a carbone in Italia, alcune delle quali erano ormai pronte alla dismissione definitiva.
Ma è questa la strada giusta? Quali sono le conseguenze di questa scelta? I cittadini italiani potrebbero davvero risparmiare dalla riattivazione delle centrali a carbone? Scopriamolo subito.
Centrali a carbone in Italia per difenderci dal caro energia
Il caro energia Italia è stato il nostro benvenuto in questo 2022. Già prima che scoppiasse la guerra a febbraio, si stava assistendo ad un forte aumento dei prezzi di gas ed energia tant’è che si è parlato spesso dei migliori consigli per il risparmio energetico.
Attualmente nel nostro Paese ci sono 7 centrali a carbone:
- Fusina (Veneto);
- La Spezia (Liguria);
- Torrevaldaliga (Lazio);
- Brindisi (Puglia);
- Portoscuso (Sardegna);
- Monfalcone (Friuli-Venezia Giulia);
- Fiume Santo (Sardegna).
Le prime 4 sono gestite da Enel e tutte devono essere dismesse, o convertite in centrali a gas naturale, entro il 2025. Questo è quanto stabilito dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) firmato dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Non solo. L’Italia ha anche firmato l’accordo COP 26 di Glasgow che ha come obiettivo quello di ridurre la produzione di energia elettrica derivante dall’impiego di carbone. Perché? Semplicemente perché è una risorsa altamente inquinante e nociva per la salute di tutti.
Tutto spingeva verso un’accelerazione nell’impiego di risorse energetiche rinnovabili.
Nonostante ciò, il Presidente del Consiglio italiano si è detto favorevole alla riapertura momentanea delle centrali a carbone in Italia con l’obiettivo di rispondere alla richiesta di gas, qualora la Russia dovesse interrompere le forniture. Secondo Draghi, questo ci permetterebbe di calmierare i prezzi, evitando picchi di aumento dei costi sopportati dalle famiglie.
Per quanto il ragionamento sembra filare a primo impatto, riaprire le centrali a carbone in Italia non ci farebbe risparmiare e, soprattutto, farebbe scivolare il Paese ancora più in basso nella corsa all’energia green.
Perché le centrali a carbone in Italia non sono la soluzione
A seguito dell’annuncio di voler riaprire le centrali a carbone in Italia, si sono sollevate molte voci contrarie a questa proposta.
Una delle ragioni principali risiede nella mancanza di rapporto tra i benefici che se ne trarrebbero a livello energetico e le conseguenze dannose a cui si va certamente incontro.
Questo perché si è visto come le centrali a carbone in Italia abbiamo prodotto il 5% del fabbisogno nazionale di energia nel 2021. Tale dato va affiancato ad un altro elemento quantitativo che è la stima secondo cui se tutte le centrali tornassero a pieno regime, produrrebbero il 10% del fabbisogno italiano. Una percentuale più alta, certamente, ma comunque insufficiente per tamponare la mancanza che avrà l’Italia se la Russia decidesse di non erogarci più le sue fonti.
Oltre a questo, occorre parlare anche della materia prima che deve alimentare tali centrali. Nel nostro Paese, infatti, abbiamo solo una miniera di carbone attiva. Si trova in Sardegna e produce 1 milione di tonnellate l’anno di carbone. Questa quantità non basta a sopperire alla domanda, pertanto la maggior parte del fabbisogno di carbone dell’Italia è importato.
Premettendo che ad oggi il 78% del carbone utilizzato proviene dalla Russia, anche se si decidesse di ricorrere alle centrali a carbone, bisognerebbe comunque trovare dei modi per diversificare l’import.
Altri paesi che potrebbero rimpiazzare la Russia sono gli Stati Uniti, la Colombia e il Sud Africa da cui dovranno partire navi con tonnellate e tonnellate di carbone. E quanto influirebbe questo sulla spesa degli Italiani?
Non dimenticando che l’obiettivo europeo di ridurre i gas serra del 50% entro il 2030 diventerebbe davvero difficile da raggiungere.
Le alternative alle centrali a carbone in Italia
Come anticipato, e come era ovvio che fosse, le risposte all’idea di riattivare le centrali a carbone in Italia non si sono fatte attendere.
Molte associazioni, come Legambiente, Greenpeace Italia e WWF hanno lanciato degli appelli volti a riflettere sulle conseguenze dannose che tale scelta comporterebbe per l’ambiente e per la salute dei cittadini.
Tutto il mondo si muove per scovare tecniche innovative per produrre energia e, se l’Italia vuole affrontare l’aumento del costo del gas, bisogna fare delle azioni strutturali, complesse ma necessarie, per risolvere il problema una volta per tutte puntando sulle energie rinnovabili.
Gli operatori energetici hanno affermato che, se le pratiche autorizzative si velocizzassero, loro sarebbero capaci di installare 60 GW di rinnovabili in 3 anni.
A questo punto sembra naturale che si valuti tale fattibilità e non si ripieghi per l’ennesima volta in azioni apparentemente più facili in cui, non solo non si risparmia ma si perde anche in salute.